
Nel camerino calò un religioso silenzio. Il dottor Rank finse di squadrare Ermete Zacconi da capo a piedi, molto indeciso se dire la battuta, pardon, la frase di rito: “Si spogli“. Il commendatore, dopo aver ricambiato lo sguardo, con un tono di voce sgradevole e aspro, tipo Macbeth al quarto atto, lo risvegliò dalla sua inettitudine:
“È forse un esperto di fisiognomica? Mi visiti, su. Mi devo spogliare? Fate venire…coso…coso…”
Il segretario mandò immediatamente a chiamare Matteo Sinagra, che stava risistemando nelle quinte alabarde, vessilli e spade per la replica del giorno dopo. Era lui “coso“, e lo sapeva. La sua abilità come servo di scena era riconosciuta da tutti, ed era un onore spogliare il commendatore quando c’era qualche emergenza o qualche fatto insolito che richiedesse una certa perizia e rapidità. Il dottore non trovò nulla di grave. Si limitò a parlare di spossatezza e che forse sarebbe stato necessario un periodo di riposo, anche breve. La risata di Ermete Zacconi lo seppellì:
“Quando un dottore dice che hai bisogno di riposo, vuol dire che non ha capito nulla“.
“In realtà, se mi posso permettere, la trovo un po’ sovrappeso e con uno stato di leggera ipertensione. Qualche bella e lunga passeggiata dovrebbe sistemare le cose“.
“La passeggiata più lunga che mi posso regalare è quella che faccio durante il monologo dell’Amleto, con il teschio in mano“.
Tralasciamo in questi frangenti che il teschio nel monologo dell’Amleto al secondo atto era una forzatura piuttosto ardita. Il teschio di Yorick sta al quinto atto, nella scena dei becchini, quando Amleto torna dall’Inghilterra. Lo sanno tutti.
Quasi tutti.
“Un po’ di esercizio fisico allora, ad esempio salire le scale più volte al giorno“.
Matteo Sinagra ebbe l’impulso di intervenire dicendo:
“Perché non le scale del teatro, arrivare al terzo piano, e ridiscendere“. Ma si limitò a sorridere.
“Cos’è quel sorriso? La faccio ridere?”
“No, commendatore…”
“Allora mi spieghi…coso…!”
“Potrebbe…forse…utilizzare le scale che arrivano ai camerini del terzo piano…questo pensavo…”
“E la fa ridere questo?”
“No” si precipitò a dire un mortificato Matteo Sinagra, quando il segretario volle venirgli in aiuto.
“Se posso… non una cattiva idea, quella del Sinagra. In fin dei conti si tratterebbe di 72 scalini a salire e altrettanti a scendere…”
Il commendatore era pronto come sempre a contraddire il segretario, in fondo lo pagava per quello, ma lo incuriosì qualcos’altro.
“Chi sarebbe questo Sinagra?”
“Io, commendatore…”
“Ah, voi…cioè…coso…”
“Sì, io…coso“.
E il giorno dopo, seguito dal fido segretario, Ermete Zacconi si avventurò al terzo piano e scoprì un modo nuovo e a lui del tutto sconosciuto: i camerini dei tecnici e del nostro Matteo. Il quale, incredulo di trovarselo davanti alla porta e piuttosto amareggiato dal fatto che, non immaginando possibile tale evento, non si era minimamente preoccupato di mettere in ordine, restò a fissarlo inebetito con tra le mani un volumetto bianco e rosso della Biblioteca Universale Sonzogno. Il guaio era che sul tavolo erano sparpagliati qua e là altri libricini della stessa collana. Un disordine poco onorevole.
“Una visione inattesa e stupefacente. Un attore che legge!” – bofonchiò il commendatore con un certo fiatone, per via delle scale ripide – “Ai piani alti succedono cose inimmaginabili. Dia qua“.
Quasi strappò il libretto rosso dalle mani di Matteo Sinagra che stava proprio in quel momento terminando di leggere il terzo atto.
“Spettri. Di Enrico Ibsen. Che robaccia è?”
Matteo Sinagra sapeva di non poter reagire come avrebbe voluto per difendere i suoi amati autori nordici e si limitò a dire:
“Un dramma borghese…molto bello.”
“C’è una parte per me?”
“Sicuro, commendatore. Osvald, il pittore.”
“Non sono troppo vecchio? Mi racconti la trama“.
E fu così che circa tre mesi dopo la Drammatica Compagnia Italiana del commendator Ermete Zacconi mise in scena con grandissimo successo “Spettri” di Enrik Ibsen al teatro Duse di Bologna. Tutto grazie alla richiesta di un autografo da parte del dottor Torvaldo Rank.
I miei 25 lettori staranno ora sogghignando al pensiero del macroscopico errore appena commesso. Ma come? Il teatro Duse di Bologna? Ma Eleonora Duse era viva e vegeta quando si svolgono i fatti inventati appena raccontati. Bisognerebbe stare più attenti, essere più seri, etc etc. Ho capito, non vi fidate di me. E fate bene, anche se in questo caso i miei 15 lettori (eh sì, nel frattempo son diminuiti) hanno torto. Eleonora Duse ebbe l’onore di aver intitolato il teatro a quarant’anni nel pieno del suo fulgore.
Chissà quali benefici ottenne Matteo Sinagra per questo suggerimento decisivo ai fini della messa in scena di “Spettri”. Nessuno. A meno che non si voglia considerare un riconoscimento affettuoso la frase che il commendatore ogni tanto usava ripetere:
“Lassù succedono cose inimmaginabili. C’è un attore che legge al terzo piano. Ah ah!”
In realtà era da considerarsi un avvenimento piuttosto raro e bizzarro. In generale l’attività preferita dagli attori è quella di contare le loro battute, appena hanno tra le mani un copione, attività che svolgono ancor prima di leggere il titolo della commedia che andranno a rappresentare. Un esercizio ginnico-matematico per la mente è anche quella di contare le battute degli altri attori, quando c’è la prima lettura a tavolino, e fare interessati confronti con la precedente commedia rappresentata. Non usano neppure il lapis, tutti belli concentrati nelle loro testoline piene di cassettini, uno per ogni collega presente, passato e, perché no, futuro.
“Hai visto il signor Stecchetti, poverino… l’altra volta 48 battute, questa volta 12… come mai?”
“E la signorina Celestina Paladini? Sempre fortunata. L’altra volta 67, adesso 88!“.
Matteo Sinagra non contava le battute, troppo facile capire perché.